Docente assente per 20 anni su 24 di servizio, la Cassazione conferma la destituzione

Non insegnerà più la docente di una scuola secondaria di II grado di Chioggia, assente per un totale di 20 anni su 24 di servizio. A decretarlo è la Corte di Cassazione, confermando la destituzione della docente, accusata di “inettitudine permanente e assoluta”. I fatti risalgono al 2013, quando l’insegnante di storia e filosofia finì nel mirino del Miur a causa dei continui reclami degli studenti in appena quattro mesi di insegnamento.

Diverse le accuse: impreparazione, casualità nell’assegnazione e libri di testo prestati all’insegnante dagli alunni stessi, poiché sprovvista. A fare il quadro della situazione sono le tre ispettrici ministeriali, che hanno definito “incompatibili con l’insegnamento” le modalità per svolgere le lezioni. “Assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, improvvisazione, lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, attribuzione di voti in modo estemporaneo e umorale, pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche”, è quanto riferito dalle ispettrici. Uno scenario che lascia esterrefatti, tanto da portare la Cassazione a confermar il provvedimento adottato dalla Corte d’Appello di Venezia. In primo grado, invece, il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di destituzione ritenendo che nonostante “la disorganizzazione e faciloneria” della docente, l’ispezione di tre giorni fosse un periodo di osservazione “troppo breve” per certificare “una inettitudine assoluta e permanente”.

Troppo debole secondo gli ermellini l’alibi della “libertà di insegnamento”, al quale la docente si è appellata.  “In ambito scolastico – secondo i giudici romani – è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio. Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.

Nella sentenza viene ribadito che il concetto di libertà didattica “comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento”, ma questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni”.